Una lunga chiacchierata con Vincenzo Laurendi e le mie impressioni su … e ci credo ancora!
L’ultimo figlio, l’ottavo, una raccolta di sette racconti sul credere. In cosa? Ingenuamente, in tutto, ma ho scelto sette punti di riferimento: l’umanità, lo sport, le buone azioni, la cultura, il lavoro, il prossimo, il luogo e sé stessi.
Il titolo di questa raccolta di racconti non è scelta a caso. Coi puntini sospensivi, come se si trattasse di un discorso rimasto a mezz’aria, ma con la lettera maiuscola, come se fosse un discorso nuovo.
Ma veniamo ai racconti:
- – un angelo combattente, affezionato ai ghiacciai dell’Alaska più che al proprio Regno, vuol credere nell’umanità per sgominare il piano efferato dei demoni;
- – un ragazzo che incontra Pantani vuol credere nello sport, dopo la sua morte avvenuta a Rimini. Un lungo e doloroso percorso per rimontare in sella.
È un appassionato tributo a uno degli sportivi che ha amato di più in assoluto.
Tutto ciò che è scritto appare vero ma è, in realtà, inventato.
“È stata una delle scritture più difficili della mia vita” dice l’autore, “perché al ciclismo tenevo davvero tanto, e confesso candidamente di aver lasciato fluire delle lacrime, mentre scrivevo”.
Bisogna credere
Bisogna credere nelle buone azioni, anche se la risposta più frequente ad esse è l’ingratitudine.
Questa storia, “Semplicemente, un angelo”, è stata scritta a diciott’anni e modificata pochissimo.
La scrittura infatti è spontanea, un po’ acerba e spigolosa, ma davvero autentica, con la weltanschaaung di un ragazzo divenuto maggiorenne da pochissimo.
Bisogna credere nel luogo, che sia la patria, il luogo natìo, un posto da chiamare casa, o perché, come dicevano i Linkin Park: “Voglio trovare qualcosa che bramavo da tempo, un posto a cui appartenere”, o un posto visitato tempo addietro, anche se è stato un luogo felice che improvvisamente diventa teatro di brutti ricordi, proprio per quella felicità svanita.
Il libro è ambientato a Praga, un luogo che ha segnato la fine dell’adolescenza e l’inizio della crescita di Vincenzo Laurendi
Una città che ha contribuito, con la sua immensa bellezza, alla nascita di una delle mie sue più grandi passioni: la fotografia.
Una magica città dove ha lasciato, un grossissimo pezzo di cuore, sparso per le piazze, le strade, i sentieri e le piccole onde della Moldava.
Bisogna credere nella cultura, perché l’ignoranza è la radice di tutti i mali. Del razzismo, dell’omofobia, dell’emarginazione. Più si apre la mente, più si è capaci di aprirsi al mondo.
Bisogna credere nel lavoro perché “nobilita l’uomo”, come dice il famoso proverbio.
Spesso, un lavoro non ti dà soddisfazioni, e lo si fa con costrizione, per sopravvivere. Ci sta anche questo. Ma se un lavoro si ama e si fa con passione, non c’è più fatica, proprio come dice Confucio: “scegli un lavoro che ami e non lavorerai per un solo giorno della tua vita”.
E infine, bisogna credere in sé stessi.
Questa storia è frutto di un sogno fatto mentre Vincenzo tornava da Messina sulla nave traghetto, precisamente, la scena della quasi-morte del protagonista. Il resto è tutto inventato di sana pianta, decidendo dopo una settimana se scrivere o meno, basandomi su quel sogno.
Questa storia è insomma una tela talmente intrisa di motivi e di sensi che sarebbe troppo lunga da srotolare.
Il divertimento sarà per voi coglierlo da soli.
Buona lettura!