“Fantasia” e “realtà”, “confini” e “aperture”,“desiderio” da sottofondo.
L’opera prima di Marzia Matalone è un intreccio continuo di fenomeni all’apparenza contrastanti e frammentati, solo all’apparenza. Una lettura più attenta, che rifugga dall’etichettare questo libro in un puro e solo “fantasy”, come del resto di primo acchitto si presenterebbe al “caro lettore” più volte richiamato all’attenzione dalla stessa giovane autrice, legittima, invero, una stimolante analisi introspettiva. E’ comunque innegabile che gli intrecci e “le vite” enarrate dividano il palcoscenico con il fantasioso viaggio intrapreso dall’eroina principale, la novizia Metide (o Marzia?), sviluppando nel lettore fantasticherie inverosimilmente quasi realizzabili. Una prima conferma promana dall’intento professato dalla stessa Marzia nel breve prologo introduttivo all’opera:
“Ho cominciato – dice l’autrice – a scrivere questa storia con in mente un’idea ben precisa: creare un universo fantastico, che racchiudesse in sé i tratti misteriosi di una terra antica e magnifica, la Calabria, tratti che potessero però esprimersi liberamente, al di là dei vincoli storiografici”.
E’, se vogliamo, una presa di coscienza che in parte si discosta dalla stessa che portò l’irlandese James Joyce a palesare una sua convinzione: “La fantasia attecchisce laddove la realtà vuole morire”. Nella “profezia” della nostra cara Marzia, invece, l’invenzione si lega armonicamente al reale, mediante, in primis, riferimenti toponomastici. La narrazione muove, infatti, dalla cittadina di Metauros, storiograficamente rinvenibile nell’area dell’attuale Gioia Tauro, la costa detta “Capo del re” in Reggio Calabria, precedente dimora della giovane penna. Lo stesso Sud Penisola è per antonomasia la terra calabra, i “Monti del Faggio” esplicitano l’essenza forestale effettivamente preponderante ad alta quota nel parco aspromontano.
Molte ancora le peculiarità tutte calabre rintracciabili. Più propriamente i nomi di quasi tutti i personaggi itineranti nella storia, nell’associazione storica -dunque reale! – che vuole la Calabria appartenente all’area magnogreca. Così il nomen Metide, la mistica novizia dei Magi Guardiani del nostro racconto, risente della mitologia greca, la quale vuole che una delle Oceanine, figlia del titano Oceano e della titanide Teti, appunto Meti o Metide, indichi una personificazione duale, da un lato la “prudenza”, sintomatica nel nostro stesso personaggio durante tutta la narrazione, dall’altro anche la “perfidia”, intesa in un’accezione più moderata di “intelligenza o astuzia”, queste ultime rappresentate come poliforme ed in continuo cambiamento: Meti, infatti, era in grado di assumere qualsiasi forma desiderasse. Non meno dicotomica la personalità della nostra Metide: diffidente della propria prodigiosa natura all’inizio, “prudente” perfino nel palesarla a se stessa, prescelta a mutare nel “Messaggero” dai doppi poteri positivi-negativi alla fine di questo primo volume. Di matrice grecanica anche i nomi di altri predestinati al viaggio risolutore delle sorti del pianeta: Danae, la ritrovata amica della giovinezza, dalla pelle olivastra, occhi scuri, esotica richiama ancora la mitologia ellenica nell’omonima madre di Perseo; il fratello di questa, Neilos, personaggio scontroso, irascibile e turbolento, il cui nome è l’esatto corrispondente greco di quello del fiume Nilo.
Apparentemente nordico, come vuole la nostra narrazione, il nome del guerriero che accompagna Metide, divenendo coprotagonista del viaggio fantasmagorico intrapreso, il “volto pallido e ampio, gli occhi verdi scuro”, un nome nobile della tradizione anglosassone, Evander. Eppure, forse anche inconsapevolmente, la nostra Marzia ha utilizzato ancora un ricorso alla mitologia romana, che a sua volta richiama l’epos greco: Evander, cui corrisponde l’italianizzato Evandro, figura dell’Eneide virgiliana, alleato di Enea e signore della città di Pallante sul monte Palatino, regno appunto dell’arcade Evandro, il cui popolo proveniva dalla città greca di Argo. Perfino i nomi di Nahia e Mikel, i viaggiatori provenienti dalle terre dell’ovest, sono dichiarativi di eventi storici legati alla nostra terra d’origine: il primo, di chiara etimologia araba allude alla contaminatio con elementi della tradizione saracena o, comunque, medio-orientale; il secondo alla rinomata dominazione spagnola (Mikel è di evidente derivazione spagnola, ancorché variante diffusa tra i Paesi Baschi).
Ed è ancora innegabile il richiamo terminologico al mondo ed alle intuizioni dell’Ellade antica – se vogliamo, anche alle credenze bipolari del mondo mistico e pseudomedico proprie dell’ ethos ellenico – viene riscontrato e nell’individuazione naturalistica dei poteri degli eletti Magi Guardiani, emblema dei tradizionali elementi costitutivi dell’universo antico (acqua, aria, fuoco, vento), e nella contrapposta arte negativo- manipolativa dei Guardiani Ribelli, la “Negromanzia”, il cui termine, composto dai rispettivi lemmi grechi “necròs”, morto, e “manteìa”, predizione, delinea la forma di divinazione i cui praticanti, detti appunto “negromanti”, cercano di evocare “spiriti”, nel primo Medio Evo dichiaratamente “demoni”.
L’excursus proposto, dunque, ci induce a ritenere confermata una linea-guida prontamente percettibile nella narrazione: la legittimazione e l’interazione della cara Marzia con il territorio nostrano, il bonario attaccamento alla terra avita, l’auspicata nobilitazione della propria terra natale, il tutto stimolato dall’elemento fantastico, mediante il quale, con le peculiarità e la descrizione dei luoghi di origine, si trasforma nella “terra ideale”. Nostre divengono di conseguenza perfino le congetture di Luigi Pirandello, per il quale “La fantasia abbellisce gli oggetti cingendoli e quasi irraggiandoli d’immagini care. Nell’oggetto amiamo quel che vi mettiamo di noi”.
Altro tema rinvenibile da una lettura critica è la ricognizione dell’idea di “confine”, di “limite”, in un’accezione da un lato “oggettiva”, dall’altro “soggettiva”, quand’anche le due modalità tendano sovente alla ricomposizione. “Oggettivamente” il viaggio intrapreso è direzionale oltre il confine geografico del Sud Penisola, alla ricerca della meta profetizzata, è un movimento. Ma la peculiarità è propria, altresì, dell’aspetto “soggettivo”, ulteriore viaggio sì, sebbene cammino psicologico, e mi spiego meglio. Al di là dei riferimenti agli spostamenti enarrati e che tessono la trama dell’avventura metidea, con conseguenti ostacoli di ogni sorta, “confini” appunto, la restrizione maggiormente cadenzata è rappresentata dall’inquietudine d’animo di Metide, “ovattata” nell’ accondiscendente propria intuizione di conoscere se stessa ed il mondo in minima parte, quasi rigettando la necessità di riconoscere la realtà che vive dentro di sé, la sua stessa missione. È un “confine” interiore che la identificherà per tutta l’opera, nella scoperta continua dell’IO individuale.
A questo punto, apparentemente smentendo quanto finora asserito, si presentano necessarie ulteriori due considerazioni legate alla dualità del “limite”. Per quanto riguarda il delineato “confine oggettivo”, è parso che il viaggio verso nuove realtà geografiche sia in effetti un movimento che non conduce mai fuori i confini, ma rimanga perlustrativo della stessa terra di partenza nei diversi paesaggi che la compongono; in secondo luogo, il “confine soggettivo” è suffragato dall’idea che le personalità proposte, infondo, non siano realmente tutti i Magi e i Guerrieri presentati alla nostra attenzione, ma sfaccettature caratteriali dello stesso personaggio principale, Metide, idealizzata proiezione dei tratti propri di ciascun appartenente alle diverse generazioni umane. Metide racchiude così la propria prudenza, la conoscenza della mentore Elisia, la prontezza di Evander, tutto sommato la sensibilità della sorella Maia, la purezza di Danae, la testardaggine di Neilos, e via dicendo. Ciò non fa comunque che confermare da un lato l’attaccamento alla propria terra natia, dall’altro che l’opera di Marzia si possa definire un “fantasy psicologico”.
Suggestiva è ancora un’ulteriore considerazione provocata dalla lettura dell’opera. Oltre la presenza, facilmente intuibile, di una “triade strutturale”, componendosi il volume di ben tre generi letterari quali la narrativa, la poesia e l’ epistolario, vi è la compresenza anche di una “triade intenzionale”, quella legata appunto all’andamento psicologico, Metide rappresentando l’ “IO individuale” (perfino quello di Marzia stessa!), il diario di Metide lo sviluppo della “coscienza dell’ IO”, lo “sconosciuto lettore” l’alterità dell’ IO. Quest’ultima, poi, è l’esplicazione più congeniale per evidenziare l’ “apertura” verso la conoscenza di altre culture possibili. Lo conferma, a titolo di esempio, l’inserimento di personaggi esclusivi della tradizione nordica, i cui nomi confermano tale intuizione. Nello specifico, Ken e Brig si presentano come nomi della tradizione nord- europea: in particolare Brig è derivazione dal nome irlandese “Brighid” o “Brigid”, basato sulla radice “brigh”, “forza, potenza” e nella mitologia di quei popoli Brigid è la dea del fuoco, della poesia e della saggezza. Un’ulteriore curiosità potrebbe spingerci a considerare ancora lo stesso personaggio alterità rispetto alla componente predominante del Sud Penisola: la stessa radice “brig” è presente nell’onomastica “Brig- Glis”, italianizzata in Briga, cittadina del Canton Vallese svizzero e quindi a nord del Sud Penisola, laddove per “Penisola” è lecito ritenere possibile anche l’interpretazione più estensiva della “Penisola Italia”.
Le riflessioni che ho esposto, comunque, sottendono un desiderio unico, che la nostra Marzia ha ben evidenziato: “trovare una realtà cui appartenere e aderire perfettamente”. E’ l’augurio che dovremmo scambiarci gli uni gli altri, che la nostra amata terra divenga “realtà cui appartenere”, sottraendoci, perchè no, anche fantasticando e soprattutto con una seria presa di coscienza, ai “limiti” che la deturpano e non la nobilitano, straordinarietà che invece la nostra giovane autrice Marzia ha riproposto con quest’opera che supera persino ogni pregiudizio connaturato.
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