Cara Lidia (Poet) ti scrivo…
Ti scrivo perché voglio ringraziarti non perché sei la prima donna in Italia che è stata ammessa (e poi esclusa) all’Ordine degli Avvocati, ma in quanto essere umano che ha speso la sua vita combattendo battaglie contro i mulini al vento solo per portare la visione umana in avanti.
Grazie perché fai parte di un NOI. Ti vorrei raccontare che hai ispirato una serie tv, una serie che chi se ne frega se è molto criticata perché pare ti rispecchi poco : sì, un’avvocata che ogni tanto dice qualche parolaccia, che liberamente senza impegno si concede ad un uomo e che poi, altrettanto liberamente si concede a un altro ma, questa volta, per amore. Nella serie sei pure abbastanza simpatica.
La società ti critica in questa rappresentazione, pare che nella realtà tu sia stata molto riservata e austera, ma si dimentica che non solo è una serie romanzata e che in qualche modo tu debba essere diversa (in una serie tv). Ma, poi, mi chiedo se effettivamente i tuoi lontani eredi possano dire in verità chi tu sei.
Chi sei tu?
Una delle prime donne laureate in Giurisprudenza con tesi discussa il 18 giugno 1881 : ”Studio sulla condizione della donna rispetto al diritto costituzionale ed al diritto amministrativo nelle elezioni”.
Successivamente hai svolto il tuo praticantato per poi chiedere l’iscrizione all’Albo degli Avvocati e nel 1883 il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torino votava con ben 8 voti a favore contro 4 contrari la risoluzione di iscriverti, prima donna in Italia, all’Albo degli Avvocati patrocinanti.
Tuttavia, successivamente, il Procuratore del Regno di stanza a Torino impugnava davanti alla Corte d’Appello la decisione del locale Ordine degli Avvocati di ammetterti tra le proprie fila.
I giudici torinesi accoglievano la richiesta e ordinavano la cancellazione dall’Albo sulla scorta di considerazioni non sempre improntate sullo stretto diritto. Secondo la Corte la professione forense doveva essere qualificata come un “ufficio pubblico” adducendo, per altro, che nel lessico della legge del “74 si parlava solo di “avvocato” e non di “avvocata” e di conseguenza si evinceva che tale figura non era prevista dalla norma, riporto di seguito una parte della sentenza con le altre motivazioni:
“avvocheria fosse un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non dovevano punto immischiarsi le femmine (…). Vale oggi ugualmente come allora valeva, imperocché oggi del pari sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste. Considerato che dopo il fin qui detto non occorre nemmeno di accennare al rischio cui andrebbe incontro la serietà dei giudizi se, per non dir d’altro, si vedessero talvolta la toga o il tocco dell’avvocato sovrapposti ad abbigliamenti strani e bizzarri, che non di rado la moda impone alle donne, e ad acconciature non meno bizzarre; come non occorre neppure far cenno del pericolo gravissimo a cui rimarrebbe esposta la magistratura di essere fatta più che mai segno agli strali del sospetto e della calunnia ogni qualvolta la bilancia della giustizia piegasse in favore della parte per la quale ha perorata un’avvocatessa leggiadra (…). Non è questo il momento, né il luogo di impegnarsi in discussioni accademiche, di esaminare se e quanto il progresso dei tempi possa reclamare che la donna sia in tutto eguagliata all’uomo, sicché a lei si dischiuda l’adito a tutte le carriere, a tutti gli uffici che finora sono stati propri soltanto dell’uomo. Di ciò potranno occuparsi i legislatori, di ciò potranno occuparsi le donne, le quali avranno pure a riflettere se sarebbe veramente un progresso e una conquista per loro quello di poter mettersi in concorrenza con gli uomini, di andarsene confuse fra essi, di divenirne le uguali anziché le compagne, siccome la provvidenza le ha destinate”
Ovviamente, la questione all’epoca aprì non poche discussioni, c’era chi sosteneva l’equiparazione delle donne agli uomini e chi dava motivazioni contrarie che, sostanzialmente, vertevano su due argomentazioni: ” una di carattere medico, l’altra di carattere giuridico.Dal punto di vista medico si sosteneva l’idea che le donne, a causa del ciclo mestruale non avrebbero avuto, almeno per circa una settimana al mese, la giusta serenità.La seconda obiezione era di carattere giuridico. Le donne all’epoca, non godevano della parità di diritti con gli uomini. “
Lidia Poet, hai tentato inutilmente di far ricorso e quindi hai deciso di dedicarti alla difesa dei diritti non solo delle donne, ma anche degli emarginati, dei minori e dei carcerati ( addirittura Divenendo parte del Segretariato del Congresso Penitenziario Internazionale)
Solo nel 1919, all’età di sessantacinque anni, sei riuscita a ottenere l’iscrizione all’Albo grazie a una legge sempre del 1919 che aveva aperto alle donne tutte le carriere professionali, esclusa la magistratura.
E’ bene ricordare che nel 1898 il primo a sollevare per la prima volta alla Camera la questione dell’ingresso delle donne nell’avvocatura fu Ettore Socci il quale riteneva che fare distinzione fra uomini e donne era una barbarie oltrechè una cosa anticivile. Venne accolto con derisione dalla Camera dei Deputati.
Ancora nel 1901 Socci ripropose alla Camera dei Deputati il medesimo argomento e ”perché vogliamo dare al mondo il triste spettacolo di voler rimanere a ogni costo, attaccati come ostriche allo scoglio a quei vecchi pregiudizi, a quei vecchi privilegi che sono stati ripudiati da tutta la scuola positivista e che sono stati buttati fra le immondezze, da tutti coloro che sentono quale veramente sia la meta cui deve tendere il progresso sociale?”
Questa volta al Governo c‘era il giurista Zanardelli e a presiedere la Camera dei Deputati c’era l’avvocato Tommaso Villa colui che faceva parte di quel Consiglio dell’Ordine di Torino, negli anni in cui venivi ammessa tra le fila dell’avvocatura .
L’ordine del giorno venne approvato e nell’aprile del 1902 Socci presentò una proposta di iniziativa parlamentare. La proposta passò in Commissione parlamentare e fu ripresentata alla Camera nel marzo 1904 per la discussione. La proposta fu votata il 2 marzo 1904 con 115 voti favorevoli e 95 contrari, venne trasmessa al Senato dove comunque non passò.
Nuovamente Sacchi nel 12 dicembre del 1916 presentò la proposta sottolineando che la Grande Guerra aveva evidenziato le grandi capacità e doti delle donne. Perché proprio durante la Grande Guerra la donna aveva conquistato nuovi ruoli in più settori lavorativi. E non voglio neanche sottolineare il tuo grande impegno proprio in quegli anni.
La legge fu, poi, approvata il 17 luglio 1919 n.1176 e ciò che negli anni precedenti aveva fatto molto scalpore e creato non poche polemiche, quella volta venne trattata come una notizia normale e di poco conto. La Grande Guerra aveva cambiato così tanto la società o la donna aveva dato così tanto nella Grande Guerra che nessun dubbio vi era più sulla sua capacità di vedere le porte aperte anche dell’Avvocatura. Cara Lidia, ce l’hai fatta a cambiare i tempi. Sulla tua pelle e sulla tua armatura.
“siate umani e siate giusti, risparmiate al nostro Paese l’onta di vedere respingere una proposta ispirata a sentimenti di giustizia” Lidia Poet
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