Illustre scienziata, partigiana e attivista sociale e politica, trascorse gli anni della Seconda Guerra Mondiale in un laboratorio domestico per proteggersi dalla persecuzione fascista.
L’ambiente familiare e la formazione
Figlia di Adamo Levi e Adele Montalcini, rispettivamente ingegnere e pittrice, Rita Levi Montalcini ricevette il premio Nobel per la Medicina nel 1986.
Nata a Torino nel 1909, decise di dedicarsi agli studi di Medicina dopo aver assistito alla morte della sua governante, Giovanna Bruatto, e contro il volere del padre.
Nonostante l’alto livello culturale della famiglia, dovette sfidare le avversità di una mentalità vittoriana che vedeva ben distinti i ruoli degli uomini e delle donne relegando, queste ultime, alle faccende domestiche e poco altro.
Si iscrisse alla facoltà di Medicina dell’Università di Torino nel 1930, a 21 anni, e subito entrò nella scuola medica di Giuseppe Levi, studiando a fianco di Renato Dulbecco e Salvador Luria.
Dopo la laurea con lode, nel 1936, si specializzò in neurologia e psichiatria e fu assistente nella ricerca neurologica fino al 1° Gennaio 1938, quando dovette essere espulsa per effetto delle leggi razziali.
Gli anni della guerra
Essendo ebrea dovette scappare più volte per evitare la deportazione, nel 1939 raggiunse il suo maestro Giuseppe Levi in Belgio; qui, ospite dell’Istituto di Neurologia dell’Università di Bruxelles, proseguì le ricerche sul differenziamento del sistema nervoso.
Il sodalizio con Giuseppe Levi proseguì anche dopo che il Belgio fu invaso dalle forze naziste, nel 1940, quando Rita Levi Montalcini fu costretta a rifugiarsi a Torino dove allestì un laboratorio domestico e dove la raggiunse, poco dopo, il suo maestro.
Fu qui che i due iniziarono il percorso che portò, trent’anni dopo, alla scoperta della apoptosi, un meccanismo di morte programmata delle cellule, essenziale per lo sviluppo dell’organismo e per la sua stessa sopravvivenza.
Ancora la guerra costrinse la ricercatrice a scappare e, questa volta, separarsi dal suo maestro.
Nel 1943 si nascose in una casa della sorella sulle colline astigiane e nel 1943, insieme al fratello, a Firenze, dove entrò in contatto con il movimento partigiano e con il Partito d’Azione.
Nonostante la guerra e le continue persecuzioni, non ha mai interrotto la sua attività di ricercatrice.
Gli anni in USA e la strada verso il Nobel
Gli esiti degli esperimenti di Rita Levi Montalcini e del suo maestro furono studiati oltre l’Atlantico dal biologo Viktor Hamburger, il quale la invitò per alcuni mesi a collaborare presso la Washington University.
Quella che doveva essere una collaborazione temporanea diventò trentennale ed essenziale per la scoperta del funzionamento del fattore di crescita nervoso (NGF) che porterà la ricercatrice a ricevere il premio Nobel molti anni dopo.
Il fattore di crescita nervoso è di fondamentale importanza per la comprensione della crescita delle cellule e degli organi e svolge un ruolo significativo nella comprensione del cancro e di malattie come l’Alzheimer e il Parkinson.
Il ritorno in Italia
Nonostante la distanza e gli impegni, non smise mai di pensare all’Italia e a come potenziare la ricerca del proprio paese.
Nel 1961 e nel 1969 riuscì a ottenere dei finanziamenti dagli Stati Uniti con i quali costituì due laboratori, a Roma, presso il CNR e presso l’Istituto Superiore di Sanità.
In questi laboratori furono approfondite le ricerche sul fattore di crescita nervoso, scoperte che impegnarono la comunità scientifica per altri trent’anni prima di ottenere le opportune evidenze empiriche.
Con questa motivazione le fu conferito il premio Nobel per la Medicina nel 1986.
Come abbiamo detto, Rita Levi Montalcini, oltre che importante scienziata, fu un’attivista sociale e politica, nominata Senatrice a vita da Carlo Azeglio Ciampi nel 2001 e consigliere di Michail Gorbačëv presso la Green Cross Internetional, dedicò molte attenzioni alle giovani generazioni di medici e ricercatori.
Morì a Roma, all’età di 103 anni, il 30 Dicembre 2012.
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