Tra le tante tradizioni esistenti in Calabria, spesso legate alle festività, ce n’è una molto particolare che riguarda la preparazione al giorno di Pasqua.
C’era una volta…
Fino al primo dopoguerra, a Seminara, c’era la tradizione di appendere ai balconi delle case la cosiddetta Corajsima. Era l’immagine di un’anziana donna vestita di nero molto nota in quanto moglie di Carnevale (in dialetto “Carnalevàri”), rimasta vedova proprio la notte di Martedì Grasso.
Com’era fatta?
La “Corajsima” era una pupazza vestita di nero, teneva in mano il fuso e la conocchia e i suoi piedi poggiavano su un limone o una patata. In quest’ultima venivano infilate sette penne di gallina.
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Il giorno del Martedì Grasso si usciva in balcone recitando questi versi:
Nesci tu, porcu mangiuni
ca trasu, eu sarda salata
Istruzioni per l’uso
Una volta sistemata la Corajsima sul balcone, ogni Domenica si usciva e, dal frutto o tubero su cui poggiavano i piedi, se ne staccava una penna e poi si bruciava. La credenza vuole che, così facendo, si riuscisse a tenere lontani gli spiriti maligni dalla propria abitazione. La pratica va avanti così fino al Sabato di Pasqua.
Arrivati al giorno di Pasqua si staccava l’ultima penna e si recitavano questi versi:
Nesci tu, sardeja sicca
ca trasu eu, la rricriàta.
Si capisce quindi che la Corajsima corrisponde a quel periodo di 40 giorni, tra Carnevale e Pasqua, meglio conosciuto come Quaresima. Quando si viveva di agricoltura a kilometro zero e non c’erano i supermercati, la Corajisima era un periodo notoriamente lungo e magro. Un periodo durante il quale i più fervidi credenti praticavano il digiuno. Da ciò nasce il detto “esti cchjiù longu da Coraisima”, per indicare un evento che si protrae per un tempo lungo e difficile da affrontare.
La tradizione seminarese della Corajsima non è soltanto un rito popolare dove ci si adoperava ad attaccare una bambola al balcone, esponendola alla pioggia e al vento. Cercando tra i libri antichi, infatti, scopriamo che Virgilio nelle sue Georgiche, più di duemila anni fa, già ne parlava. In quel caso il pupazzo, pendente dagli alberi, serviva a tenere gli spiriti maligni lontano dai campi coltivati.
Corajsima
Notti i Carnalavàri a lu barcuni
si mpéndi a vecchjia i pezza i lana chjina;
nu fusu mmanu e pedi nu limuni
cu ntornu setti pinni di gajina.
I luttu, fila u fusu e ntantu pensa
o tempu di Pasca e faci vita grama;
limuni signu i magro e penitenza,
li pinni fannu signa settimana.
“Véduva sugnu di Canavalàri;
mi chjiamu Coraisima e mi vantu
ca vi ricordu u tempu di penari.
Vi cuntu u tempu finu o journu Santu,
vi fazzu li doviri ricordari
mu migliorati cori, menti e mantu”
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