Il governo del Sudan emana una legge per proteggere le donne del Paese.
Le mutilazioni genitali femminili (MGF) rappresentano delle pratiche che ancora in molti – troppi direi – Paesi, vengono messe in atto sul corpo indifeso di giovani donne. Queste pratiche, spesso incoraggiate da credenze popolari o religiose, rappresentano un vero e proprio rischio per la salute fisica e psichica di chi le subisce.
Succede proprio il primo Maggio, giornata importante per l’Italia e per i diritti conquistati dal popolo italiano, che il governo provvisorio del Sudan, subentrato alla dittatura di Omar Hassan al-Bashir, ha emanato una legge che condanna, con pesanti multe e con una pena che può arrivare fino a tre anni di carcere, ogni pratica di mutilazione genitale femminile.
Le MGF sono ancora praticate in oltre 20 paesi Africani e in alcune zone dell’Asia e del Medio Oriente, sono oggetto di protesta da parte di fondazioni e ONG poiché, oltre a causare traumi psicologici per chi le subisce, sono spesso causa di infezioni e infertilità. Molti stati, infatti, prima del Sudan, le hanno vietate con una legge apposita. Per esempio l’Egitto nel 2008 con una legge che ha fatto molto discutere e che nel 2016 è stata inasprita per fermare genitori e medici che continuavano a praticarla, inserendo una pena aggiuntiva che può arrivare a 15 anni di detenzione.
Benché la pratica delle MGF sia ancora sostenuta da un tessuto sociale fortemente influenzato dalle credenze popolari e da alcune religioni, molte donne cercano di opporsi a questa sbagliata tradizione. Da oggi hanno un’arma in più, oltre ai tanti movimenti locali e alle diverse realtà globali che si occupano di questo problema, le donne sudanesi da oggi potranno opporsi a questa pratica avendo la Legge dalla loro parte.